ITALO TURRI "MONZON" Il Pittore dei Cartoni

L'ARTE E IL MISTERO:
TURRI ITALO;
LA VITA DENTRO L'OPERA TRA SIMBOLICO E INFORMALE

(di Donato Di Sepio)


Nella storia di un artista, specie se articolata da eventi non comuni è culturalmente complessa.
La vita di un uomo è semplicissima, ma la vita di un filosofo, di un pittore, di uno scrittore, può diventare molto complessa se le sue opere non sono semplicemente “prodotti” di quella vita che anzi sono “essi” a produrla, nella sua realtà più profonda – come nel caso di Italo Turri – ha avuto il potere di mutare, di rendere la propria personalità simile a uno specchio di guisa.....vi si rifletta; “perchè un genio – afferma Marcel Proust – consiste nel ‘potere riflettente’ e non nella quantità intrinseca dello spettacolo riflesso”. Italo Turri, infatti, nel suo essere schivo, diffidente era un artista “strano”, e nel suo essere umile e solitario era un artista-poeta. “Strano perchè frustrato dall’incomprensione di una società che non riusciva a capire il perchè Turri si fosse autoemarginato, ridotto a vivere del disagio esistenziale. “Artista-poeta”, perchè guardare le sue opere è come leggere l’intensità poetica della sua arte. ...Per un uomo la cui vita è come una “Monade” (Leibniz), l’intuire figurativo aliena ogni contenuto ed esteriorità, e solo il sentimento lo mantiene in unità soggettiva con l’Io interno.....Quello che è formidabile in quest’artista, è appunto la grande forza emotiva, l’aver riportato emotività nell’arte. La sua è una conoscenza intima,”intelligere” è quasi un leggere dentro, “intus legere” cioè dotato di percezione distinta unita alla facoltà di riflettere l’oggetto dell’intuizione sensibile da ritrarre o comporre. La sua morte, il 9 Aprile 1995, se ha chiuso il capitolo della sua travagliata esistenza, non ha esaurito, per nostra fortuna, quello della sua pittura: come capita alle opere dei Grandi – sempre vive – attorno ad esse si parla, si critica, in esse si specchia un’epoca e le sue interpretazioni di periodi storici buoni o difficili e tutti da rivisitare. Se poi sia stato un divisionista, sperimentalista, informalpostimpressionista, simbolrealista, poco importa: ogni sua classificazione, per quanto infinita, appartiene alle epoche dell’uomo.
 

ITALO TURRI
“IL LUNATICO DELL'INNOCENZA”

“La Culla il Nulla.
Il nulla la Culla.”


...Quei cartoni sono una strana orchestra che suona una musica sconosciuta, a volte facendosi conato dimesso e infantile, a volte disponendosi nel golfo azzardato delle visioni liriche.
quei cartoni non vanno né sepolti, né diseppelliti, vanno percepiti. Turri non va né legato, né slegato: va compreso, va aiutato. va amato. Quanto al resto nessuno come lui possiede, nella sua pienezza vuota l’arte della dimenticanza proprio perchè nessuno come lui detiene la pittura della memoria.
...in effetti Italo Turri dipinge, per impregnazione e per infestazione, l’improbabilità sensoria di ci che si sente di sentire, la ipercinesia di ci che vede di vedere. La sua una biosfera pitturante della illogica metapsichica dell’incoscio e biologia pitturata della propria disperata volontà di non morire. Pittura come sisma, come eruzione lavica, come esperienza anonima dell’inanità e vittoria sulla inanità. ...
Caro Italo Turri, so che queste mie righe (peraltro superflue nel tuo extrasistolico universo) non le leggerai mai, tuttavia io sento il bisogno di dirti grazie de esistere!, grazie della tua sfida! grazie di aver dipinto tutta la tua umile via crucis!, grazie di aver inondato di smembranti percezioni i sotterranei e i cieli della tua città!.
Le strade vengono cancellate, le traccie no.

Lorenzo Ostuni
critico d’arte
docente di psicologia presso
l’ESALAN INSTITUTE di California



 

ITALO TURRI-MONZON: LA POESIA DEL QUOTIDIANO
(di Maria Teresa Valeri)


Italo Turri, artista anagnino (1926-1995) che firmava i suoi dipinti con il soprannome Monzon, è stato un uomo e un pittore davvero “straordinario”: ha vissuto fuori dai canoni dell'esistenza ordinaria in modo semplice e povero, senza abbandonare la sua fedeltà ai valori dell'onestà e della generosità. Per il totale distacco dal peso delle cose, comunemente ritenute indispensabili per raggiungere il successo e il potere quali unici scopi della vita, Italo Turri è stato libero e nel suo spirito ha potuto avere tutto, facendo ricorso alla sua fantasia, alla sua poesia, alla sua arte.
I soggetti di Italo Turri sono ripresi dalla vita quotidiana: semplici scene di vita di paese, paesaggi, nature morte, personaggi senza espressione che sembrano parlarsi ma non comunicano, la figura femminile, città fitte di case senza finestre, riprese di interni domestici, animali, geometrie. Nelle sue opera si riscontrano pochi colori utilizzati e sempre in accostamento tonale: i rossi, i verdi, i blu, il nero, i grigi, il bianco, il marrone, il beige. La ricostruzione dello spazio, luogo dell’azione dei personaggi, è a volte sacrificata alla resa bidimensionale dei soggetti; spesso è raggiunta mediante gli effetti di profondità prospettica ottenuti con la sapiente giustapposizione di gradienti cromatici, definiti da pennellate costruttive decise e materiche che si scontrano; o con l’uso di impellicciature di compensato, disposte sul supporto in modo da generare ordinate suggestioni di piani e volumi.
L'artista anagnino nei suoi dipinti e collage, realizzati con deciso segno espressionista, ha lasciato alla nostra attenzione la semplice e vigorosa denuncia contro il male del secolo XX: l’emarginazione e il tragico disagio dell’uomo, schiacciato dalle leggi dell’egoismo e dell’apparire, imposte dalla logica disumana della società consumistica e materialista. La scelta di un linguaggio pittorico deformante e audacemente essenziale, lontano dalla ripresa mimetica della realtà fenomenica, ha permesso a Italo Turri di rappresentare in toni drammatici ed incisivi il mondo interiore dell’uomo del Novecento, deprivato di ogni valore e virtù morale.
Le opere di Turri sono per lo più realizzate con smalti o acrilici. Il supporto è quasi sempre materiale di scarto, raccolto con cura tra gli avanzi della opulenta società del benessere economico: cartone o cartoncino arricchito dall'uso di stracci, manifesti pubblicitari, impellicciature di compensato. Gli stessi cartoni “riciclati” divengono valido mezzo espressivo nelle mani di Monzon: grazie alla loro movimentata texture, lasciata visibile dalle pennellate trasparenti, essi ci parlano sommessamente della luce che sfiora le superfici, dà sostanza alle forme, vitalità alla realtà. L’inserimento di frammenti di realtà conferisce valore di concretezza reale al dipinto, che non è più una semplice riproduzione del fenomeno, ma è la ricostruzione e l’epifania della realtà profonda dell’esperienza umana, che l’artista avverte per via di sentimento e comunica quale sua personale visione del mondo.
Turri-Monzon ha utilizzato i materiali di scarto come mezzi per rendere visibile la sua visione del mondo, per comunicare la sua vena creativa: si è trattato di scelta intenzionale o di necessità? In ogni caso è significativo il risultato estetico, perché Italo Turri ci ha dimostrato come le mani dell’uomo riescano a produrre bellezza anche manipolando la materia apparentemente priva di valore, rinnovando e dando vita alle cose morte, quelle scartate e ritenute inutilizzabili. Con la sua vita ai margini l'Artista non solo ha riaffermato il valore oggettivo che ciascuna cosa, sia essa naturale o prodotta dall’uomo, porta in sé; ma la sua produzione artistica ci ammonisce soprattutto sull’infinito valore della dignità di ogni uomo, sia esso autorevole o ingiustamente senza diritto di parola, ricco o povero, potente o debole: nelle mani dell’Artista l’oggetto di scarto diviene poetica metafora dell'uomo costretto alla marginalità.
L’opera del pittore anagnino non può passare inosservata. Sin dalla prima vista la pittura di Italo Turri-Monzon cattura l’attenzione del riguardante: si presenta inizialmente con la dolcezza sommessa di una nenia familiare e poi si impone come sinfonia di colore e suoni; ti giunge dritto al cuore con il suo linguaggio semplice e vero; ti parla nel profondo dell’anima quasi come creatura vivente; ti scuote la coscienza e commuove nell’intimo, tanto la sua poesia del quotidiano è intrisa di dolore e tenace attaccamento alla vita. Non è facile sottrarsi al dialogo che l’Autore intavola con l’osservatore. Italo Turri è vivo nelle sue opere e, testimone di sé, lascia il suo messaggio con il linguaggio arcano e universale dell’arte: … l’incontro con i quadri di Turri suggerisce un nuovo modo di vedere povertà e ricchezza. Nella povertà dei materiali usati scopriamo la ricchezza della persona, il suo spessore umano. Nella ricchezza dell’autore scopriamo la nostra povertà: quella di quando non ci accorgiamo di quale profondità ci offra la vita” (E. PERISSINOTTO 2000). Anche se Italo Turri, scegliendo una vita dimessa, sembrò cedere alla forza schiacciante dei miti della società consumistica, paradossalmente alle soglie del terzo millennio diviene vincente, poiché la sua arte continua a parlarci di lui, ma anche di noi stessi: continua a denunciare quegli atteggiamenti che spesso adottiamo verso l’Altro quando ci rifiutiamo di incontrarlo nella sua “diversità”, di accoglierlo in nome dei valori universali dello spirito, di cui ogni persona è portatrice.
La notevole efficacia comunicativa dell’arte di Italo Turri e i molteplici spunti di riflessione morale, che le opere dell'artista anagnino offrono a chi di fronte ad esse si pone nell’atteggiamento dell’ascolto, sono stimolo ad individuare nella sua pittura l’uomo con le sue sofferenze e i desideri profondi, il suo connaturato e ineludibile desiderio di libertà, che coincide con l’aspirazione alla bellezza: non la bellezza da consumare, quella, cioè, che sollecita soltanto i sensi; ma quella che, accompagnata dalla verità, si fa portatrice di significato, l'unica che dà senso alla vita.


Maria Teresa Valeri

 

RICICLAGGIO D’AMORE – ITALO TURRI (1926-1995)
(di Maria Teresa Palitta)


Le mani soprapposte, lo sguardo malinconico, il volto scavato, come campo da semina, in Italo Turri, ribattezzatosi Monzon, per l’immersione nell’arte, confermano il pathos di cui sono ricche le opere.
Il “riciclaggio” d’amore, cui andò incontro, nel suo percorso storico, segnò l’encomio dell’essere che dilada se stesso su cartoni rimessi in equilibrio per confermare il verdetto “Nulla si distrugge: Tutto si trasforma”.
In questo impeto realizzante, Turri manifestò il trionfo del decadente attraverso un innesto di memorie (donne, oggetti, animali) effettuato umilmente nell’evanecenza dipinta o edificata, con smalti e impellicciature, in un adattamento scenico povero e suntuoso.
Alla radice, Turri pose l’amore, e su questa base ebbe modo di esprimere il nettare della semplicità assoluta. Egli si abbandonò alla corrente, come i cartoni reclicati e i piani rigidi, e approdò nel delta del consolidamento intellettuale: da un lato i tesori dello scarto, dall’altro l’idea. Così l’arte esplose in tutta la sua intrinseca estensione. La radice e il seme del pensiero, implicido nella forma, presero corpo e crearono ciò che ora ci stupisce.
Dal tocco evanescente seppe trarre il preludio di una risonanza arcaica. Gli effetti della sua Anagni si espansero gradatamente e raggiunsero nuove postazioni. Così il memoriale fu completo. Ciò che vide, nel suo straordinario vissuto, di lavoro e rinunce, assume caratteristiche difficilmente riscontrabili nelle solenni accademie.
Turri ebbe di solenne l’intuito primordiale, la rapidità esecutiva, l’approssimazione vitale, come se i soggetti fossero anch’essi sospinti dalla corrente in cerca d’approdo. La sua tenacia gli fece compilare un modulo conforme al suo tenore di vita: estraniato dai rumori, fasciato di umiltà, desideroso di lasciare un segno, sulle cose gettate, come atto d’amore che sollecitasse le umane dissonanze, pronte a disfarsi dell’utile per un deleterio capriccio, seppe effettuare la metamorfosi che ora produce crescendi inevitabili.
Un impressionismo puro, personalizzato, ricco di sequenze che pongono la donna al di sopra di tutto; un elogio soave, discreto; un sereno rendimento per l’aria respirata e per la raccolta di elementi destinati alla polvere, prima che le sue mani audaci vi imprimessero sopra il marchio inconfondibile del loro amore.
L’Argentina ebbe un pugile di nome Monzon, dalle cui mani esplodeva la forza.
Noi abbiamo avuto un pittore dall’indole forte: le sue dita strinsero i cartoni destinati al degrado, li accarezzò, li stese, li dipinse e li regalò, estasiato per la gratitudine. Nel frattempo l’estasi è divenuta recripoco sostegno: la sua arte rimane intatta nello scrigno del mistero. A noi la facoltà di scoprire quanto siano amorevoli i dipinti di Turri nel loro inconcepibile elemento.

 

ITALO TURRI MONZON
(di Carla Ferraris)


L’arte di Italo Turri-Monzon è pittura dialetticamente e segnicamente sintetica, primordiale, diacronica, concettuale, è pittura che si discosta totalmente dalla mimesis artistica tradizionale, ma è anzi essenzialmente deformante nella bidimensionalità delle composizioni e nell’impasto dei toni matericamente plasmati sul cartone. La semiotica del suo gesto pittorico è racchiusa in quelle forme approssimate nella mancanza di proporzione, in quella sovversione spaziale che è caratteristica di quest’arte simbolica più che povera. Monzon è accostabile ai grandi delle avanguardie novecentesche: egli è infatti surreale, metafisico, naif, dadaista, espressionista, cubista…La sua arte richiama i primi esperimenti plurimaterici picassiani nel riutilizzo di materiali tridimensionali derivanti dal quotidiano (cartoni, stracci), richiama gli esperimenti di Burri, l’espressionismo munchiano e la visione di Grosz, oltre che le raffigurazioni “capricciose” di Goya e quelle “allucinate” di Bosch. Ne “Le aristocratiche” appaiono evidenti tali richiami: figure umanizzate in riquadri geometrici che ne limitano lo spazio d’azione, inespressive, “chiuse” in sé stesse da neri bottoni verticalmente cuciti sui corpi conici (privi di arti), incapaci dunque di interagire e comunicare; figure allegoriche di una società altezzosa e stucchevole, da cui Turri si è allontanato auto-emarginandosi ai confini della propria realtà e sensibilità individuali. Le opere di questo artista non sono mai datate e diventano quindi il sunto, il resoconto di un vissuto artistico che ad oggi appare metastorico ed è quanto mai attuale e contemporaneo.

 

LA FIGURA DI ITALO TURRI
(Di Claudio Strinati)


La figura di Italo Turri è enigmatica e poderosa. Il suo linguaggio perfettamente coerente e unitario dalla prima all’ ultima opera è aspro, ridotto all’osso, apparentemente trascurato e spicciativo, fatto di pennellate stese con la brutale indifferenza di chi vernicia una staccionata, di chi sbozza una prova di colore, di chi graffia e scortica una superficie già dipinta per sovrapporci qualcosa. Ne scaturiscono immagini ruvide e spettrali, che sembrano promanare da un mondo grossolano, abbrutito, mortificato da una vita grama e solitaria dove le forme a mala pena riescono a assumere l’aspetto di una vaga verosimiglianza strapazzata da segni che trasformano tutto in ectoplasmi e fantasmi grottescamente deformati.
L’ artista più che osservare aggredisce le proprie stesse immagini. Sembra disprezzarle, massacrarle di odio e di rabbia. La stesura arida e selvaggia, senza preparazione e senza rifinitura, travolge tutto ciò che viene rappresentato, animali e persone, città e campagna, alta società e poveracci, gente che va e che viene senza ragione e senza spazi, appesa al nulla e ricacciata dentro lo spazio da cui vorrebbe forse emergere.
E’ un luogo incivile e inospitale quello che il pittore scaraventa addosso ai suoi osservatori. Eppure quanto amore sviscerato e ardente per l’arte intesa come uscita clamorosa e irritata dal mondo che non ci piace!
Turri è un giudice forse ingiusto con se stesso e con gli altri, ma nello stesso tempo è una specie di involontario terapeuta che estrae implacabilmente lo sbalordimento e la preoccupazione che ognuno di noi prova quando si trova di fronte a ciò che non riesce a tollerare e che provoca ripulsa o fastidio.
Turri ha ricostruito un mondo parallelo a quello della normalità e del quotidiano, un mondo che è in definitiva altrettanto normale e quotidiano ma è attraversato da una allucinazione complessiva che rende tutto uguale e tutto rimescola in una specie di immobile fermata di un treno che non può attraversare il tempo, non parte e non arriva.
E’ impressionante, insomma, l’insieme delle opere che restituiscono una personalità densa e fremente. Turri è un vero inventore di immagini. Può certamente essere avvicinato a tanti altri pittori che nel Novecento si sono mossi in una prospettiva simile ma resta unico e incomparabile. Certo si potrebbe dire che è una specie di Rouault redivivo quando non appare come un Eliano Fantuzzi sconquassato e alieno da qualunque forma di edonismo alla buona. Ma al di là di suggestioni del genere è evidente come l’invenzione della forma in questo pittore non ha precedenti, non conosce influssi.
E’ in effetti un artista vero e strano che sembra non voler né piacere né comunicare. Eppure il suo messaggio arriva in modo sorprendente. Un poeta scorbutico e perennemente fuori dalle righe che non intende insegnare né educare eppure ha la forza incredibile del vero testimone che vigila sulle nostre percezioni e apre porte inattese anche se sovente inquietanti.

 

ITALO TURRI, LA POETICA DELL’ASSENZA
(Di Rocco Zani)


Italo Turri non l’ho mai incontrato.
Eppure talvolta accade che il “peso” di una conoscenza compiuta – capace oltremodo di tracimare in annotazioni affettive e umorali – possa limitare le pretese del sogno o addirittura porre margini a rappresentazioni meno essenziali. Restano i resoconti della bocca trasmessi per curiosità o indiscrezione, ovvero per sottolineare la stranezza dell’uomo, quel suo incedere bizzarro, il rifiuto delle parole tediose, l’ira di certi giorni, la frenesia, il rifiuto. Eppure tali immagini rimanderebbero ad una sorta di liturgia sanguigna, confinata, inevitabilmente di facciata.
Ed è forte la tentazione – di molti – di collocare Turri al di fuori dello scenario, comunemente inteso, di un’arte necessariamente contemporanea. Come se la sua personalità – il suo no incorruttibile ai guasti del quotidiano, la sua poetica assenza – lo ponesse fatalmente ai margini di un’arte cosiddetta colta.
Avremmo avuto per lui, forse, un sentimento ringhioso o di accomodante sopportazione. Come lo è, oggi, per i diseredati e gli oziosi, per chi non segue lo sciame di un’integrazione a tutto tondo. Per chi, ancora, ha lo sguardo disincantato e sorride lieve alle nostre armi e alle nostre battaglie. O, forse, avremmo provato invidia per gli stessi motivi e per l’incapacità – questa volta tutta nostra – di astenerci, di rifiutare, di navigare lungo nuove coste.
La mancata conoscenza dell’uomo sembra condurci invero verso un’analisi di esclusivo pronunciamento artistico, rigettando la passione e l’emozione per un incontro e precludento ogni presumibile condizionamento. Avrei voluto, in poche parole, isolare e commentare la sua presenza pittorica su valenze esclusivamente narrative, formali, cromatiche. Avrei voluto, ancora, rimarcare l’essenziale giudizio storico, centralista, inespugnabile dalle periferiche attrazioni dell’immaginifico.
Ma non è così. Perché la pittura di Italo Turri ha il dono curioso di ribadire - oltre ogni eventuale indizio - i termini di una storia intima ed epocale al contempo, autobiografica e sconfinata, di quartiere e metropolitana. Come se l’occhio del pittore cogliesse, nel suo libertario incedere, le miserie frettolosamente riposte, le rotte della polvere, la noia dei giorni consumati, la compagnia del vuoto. Ovvero, l’inconfessabile timore di sopravvivere.
C’è nelle fessure di biacca e vermiglio che rimescolano la certezza della città annerita il tentativo – appena abbozzato – di immaginare solarità inaccessibili, bambinesche aspirazioni. Ma la sequenza delle giometrie che dettano il tempo e i gesti, i segni – appena percettibili – di un’umanità fuggiasca sembrano cogliere quel male di vivere che è l’unico, smisurato convincimento, del nostro andare.
 

ecco la mia testimonianza: Prof. Claudio Strinati

Il lavoro di Italo Turri viene lentamente riscoperto. L' artista scelse per se una vita di isolamento e separazione dal contatto con gli altri. Adesso emergono, grazie all' amorevole cura dei familiari che ne preservano la memoria, opere mai viste prima in cui il carattere dell' uomo e dell' artista rifulge in maniera inquietante e nello stesso tempo estremamente coinvolgente.
Si vedono quadri dove le figure sono al limite della sparizione, quasi aggredite dal pittore stesso, che annichilisce i suoi personaggi che sembrano emergere con difficoltà e tormento dal supporto.
...eppure queste figure premono sulla immaginazione di chi guarda e l' artista sembra lì, vivo e presente, a ammonire e a manifestare una ostilità verso ciò che lo circonda.
Una ostilità che forse scaturisce da un desiderio inespresso e inesprimibile di comunicare su un piano diverso rispetto alla quotidianità e all' ordinaria amministrazione.
Resta una personalità misteriosa che rivela un temperamento e una potenza veramente singolari e ammirevoli. Un caso a sè , eppure così sintomatico, a ben vedere, del nostro tempo, qui e altrove.

Claudio Strinati


 

ITALO TURRI E IL FARE PITTURA
(di Rocco Zani)


In uno scritto di Luigi Tallarico del 1999, gelosamente custodito e dato alle stampe solo lo scorso ottobre, lo storico di Crotone ebbe a definire il pittore Vittorio Miele una sorta di “artista-sismografo” le cui “vicende vengono continuamente agitate nella forma-colore e finanche drammaticamente presagite come anticipazioni dell’immediato futuro”.
Si rimarcava, in quel modo, una condizione di “preavviso” tipica di taluni artisti che più di altri hanno con l’incombente un rapporto vivo eppure mimetico, quasi ne avvertissero – per sensibilità o carattere, per esercizio o per frenesia - finanche il soffio, l’alito che ne alimenta il divenire.
Mi piacerebbe che la stessa dimensione di turbato conflitto accompagnasse la sostanza epica di un artista, Italo Turri, capace negli anni di spinte e incursioni che di fatto sollecitano un’immagine progettualmente tellurica. Non già come accadimento fatale e rocambolesco della sua condizione umana quanto invece della sua intima specificità di narratore. Il “disagio”, manifestato a lungo come personale avversione alle condotte predominanti – potremmo perfino definirlo come “autonoma distinzione” – ha fatto di Italo Turri un personaggio quasi mitizzato proprio per quella “maledizione da urlo” che è stata compagna di viaggio e di soste precarie nelle stazioni del divenire. Tutto ciò ha stornato a lungo lo sguardo – o l’attenzione – da uno scenario meno autentico o veritiero che è quello primitivo e strutturale del “fare pittura” ovvero di rivendicare a pieno diritto un’autenticità artistica capace – essa si -, oltre ogni comportamento, di dare risposta all’oscurità.
Ecco allora che la valenza geologica di Turri pittore è in quella cultura di strada che più di altre ha interferito nella concreta definizione del racconto. Perché più forte è il segnale dell’umanità dolente, senza schermo o pietà; orfana delle essenziali comprensioni, priva di ogni generoso riparo.
Ed è lui a tracciare meticoloso – come un indicatore appassionato - il fiato che spinge dal sottosuolo, lo sconfinamento degli esclusi, i paesaggi dell’assenza, le voci periferiche che non conoscono certezze.
Non è rassicurante la pittura di Italo Turri – in arte Monzon – se ad essa vogliamo attribuire una peculiare dimensione immaginifica ovvero se vogliamo farne, esclusivamente, isola del ripensamento e della tenerezza. Non è rassicurante, certo, perché non è pittura scenica o di integrazione bensì arsa nella evanescenza di uno sguardo rincorso e restituito agli occhi degli altri per semplici misture di segni, per colori stinti; quasi che il grigio e il nero dialogassero con parole misurate, essenziali, mai affabulatorie.
La città, l’agora, la strada raccontano la storia dei messi da parte, una storia fatta di ombre allungate, di scherno, di brezze fastidiose, di tolleranza rara.
Quelli di Turri sono – come scrisse Giuseppe Bonaviri a proposito di questa terra – cieli scuotenti, enormi, sconfinati o degradati in fumi grumosi, privi dei rossori al vespro, spigolosi e acuti come le geometrie che dettano e risarciscono le sequenze del corpo.
In questo paesaggio di prospettive sommerse il girotondo delle anime perse ha l’odore di cenere, quella che il vento d’autunno trascina per siepi e cortili, confonde gli sguardi e scippa le parole.
Italo Turri ne registra i ritmi e ne annota i battiti, quelli appena percettibili del silenzio e dell’angoscia.

 

ITALO TURRI-MONZON
“La poetica dell’essenziale”

Mostra antologica
(Presentazione a cura di Maria Teresa Valeri)


Italo Turri, in arte detto “Monzon” (Anagni, 1926-1995), è uno straordinario pittore anagnino, che ha lasciato nei suoi dipinti e collage, realizzati con deciso segno espressionista, la semplice e vigorosa denuncia contro il male del secolo XX: l’emarginazione e il tragico disagio dell’uomo, schiacciato dalle leggi dell’egoismo e dell’“apparire”. Esse sono una potente denuncia della logica disumana della società consumistica e materialista.
Italo Turri, nelle sue opere, è testimone di sé, lancia il suo messaggio con il linguaggio arcano e universale dell’arte, ci pone direttamente in contatto soprattutto con l’uomo-Turri, che emerge a tutto tondo con la sua profonda aspirazione alla semplicità, alla verità dei rapporti umani, al rispetto della dignità della persona, al canto delle piccole cose che fanno bella la vita. Italo Turri - Monzon, con stile espressionista, a volte informale, ci rivela opere che sono autentici brani di poesia, stimolo vivace alla riscoperta del valore e della dignità dell’uomo.
L’opera del Pittore anagnino non può passare inosservata. Sin dalla prima vista la sua pittura cattura l’attenzione del riguardante: si presenta inizialmente con la dolcezza sommessa di una nenia familiare e poi si impone come sinfonia di colore e suoni; ti giunge dritta al cuore con il suo linguaggio semplice e vero; ti parla nel profondo dell’anima, quasi come creatura vivente; ti commuove nell’intimo, tanto è intrisa di dolore e tenace attaccamento alla vita. Non è facile sottrarsi al dialogo che l’Autore intavola con l’osservatore.

Linee biografiche

La formazione culturale ed artistica del Pittore (Anagni, 1926 - 1995) è legata alle esperienze dell’infanzia e agli studi professionali dell’adolescenza. Figlio di calzolaio, è abituato sin da piccolo ad osservare il lavoro artigianale del padre, quotidianamente intento a modellare pelle e cuoio, semplici materiali organici, per ottenere calzature utili per le necessità dell’uomo. Terminati gli studi primari, Italo Turri si iscrive all’Istituto d’Arte di Anagni, sezione di “Ebanisteria”, che termina nel 1940. La scuola d’arte rinforza le attitudini di Turri e acuisce la sua attenzione ai materiali naturali, che, “manipolati” dall’artigiano-artista, raggiungono nuova forma e nuovo valore, acquistano significato estetico e comunicano bellezza. Diciassettenne, Italo Turri partecipa alla formazione partigiana “Anagni” come “partigiano di gregario” e, arruolatosi nell’esercito, si congeda il 22 novembre 1948. Trova lavoro nella sua città come netturbino e si sposa nel 1950. Due figlie nascono dal suo matrimonio, che finisce nel 1955 in seguito alla decisione fondamentale della vita dell’Artista: rinunciare al mondo per iniziare una nuova vita in opposizione alle regole; vivere “ai margini” del mondo per assicurarsi l’osservatorio privilegiato per la ricerca del senso recondito delle cose e per cogliere la verità, nascosta dal velo dell’apparenza. La sua spiccata sensibilità, già forse traumatizzata dalle esperienze tragiche della guerra, deve aver ricevuto un’insanabile ferita dalla repentina trasformazione culturale degli anni successivi al dopoguerra, quando la società agricolo-pastorale del territorio, fondata sulla logica di una vita semplice legata ai bisogni primari della sussistenza, fondata sui valori riconosciuti nelle piccole cose della vita quotidiana quali la solidarietà e lo spirito di abnegazione, il lavoro e la sobrietà, cede improvvisamente il posto all’economia del “consumo”, catapultata nella provincia di Frosinone in seguito agli sviluppi della produzione industriale, che segnerà il boom economico degli anni ‘60 del XX secolo con il conseguente sovvertimento dei tradizionali valori e sistemi di vita.
Turri diventa un ribelle e, nel contempo, un reietto. Si allontana dalla società che gli appare un inferno: per le convenzioni mascherate di perbenismo, che vìolano la dignità personale dell’uomo e soffocano la sua libertà. Inconsciamente l’Artista esprime una visione hobbesiana della vita, in cui vale l’amara definizione homo homini lupus. Sicuro di non avere altra scelta, abbandona la Famiglia, la convivenza sociale e torna a vivere nella casa paterna, nido protettivo, rifugio dall’ipocrisia imperante che distrugge l’uomo, perché, negandogli il diritto di “parlare”, di essere sé stesso, gli sottrae il diritto esistere.

Note stilistiche

Italo Turri sceglie lo “scandalo della debolezza”, la povertà totale, l’emarginazione da una società matrigna e disumana, che, rifiutando il “diverso”, gli impedisce il dialogo paritario, schietto e autentico. La sua vita diviene “povera” e proprio per il distacco dal peso delle cose diviene “libera”; Turri – Monzon, liberatosi dalla cosalità pesante del reale, facendo ricorso alla sua fantasia, alla sua poesia, alla sua arte, nel suo spirito ritorna in possesso pieno di ogni cosa. Contestualmente l’Artista rifiuta il dialogo convenzionale della parola-abusata della convivenza comune per scegliere il suo linguaggio, quello universale della pittura, quello che non può essere equivocato e che rimane, nel tempo, sempre autentico, vero e liberante.
Significativo è il nomignolo che la gente del suo paese gli veste addosso: “Monzon”, famoso pugile, e che Italo Turri accetta. Con questo nuovo nome il nuovo Turri firma le sue opere: egli, così, dimostra di non rinunciare alla lotta, continua a combattere pacificamente con i “suoi pugni”, cioè con le sue mani di artista, dimostrando come le mani dell’uomo riescano a produrre bellezza, manipolando materie apparentemente prive di valore, rinnovando e dando vita alle cose morte, quelle scartate e ritenute inutilizzabili.
Da tale concezione del mondo deriva la preferenza per il segno espressionista e la scelta delle tecniche utilizzate con analoghi scopi artistici dalla Pop Art americana e dall’Arte Povera, mediante il recupero dei materiali poveri, preferibilmente quelli di scarto. Italo Turri-“Monzon” usa come supporti alla sua pittura cartone, stoffe, manifesti pubblicitari, impellicciature di compensato, smalti e acrilici, che spesso recupera nelle zone di raccolta cittadina dell’immondizia. “Monzon” realizza in tal modo una vera operazione culturale, riconosce con la sua vita “ai margini” il grande valore oggettivo che ciascuna cosa, sia essa naturale o prodotta dall’uomo, porta in sé e contemporaneamente afferma l’infinito valore della dignità di ogni uomo, ricco o povero, potente o debole, autorevole o ingiustamente senza diritto di parola, di cui l’oggetto di scarto diviene nelle mani dell’Artista poetica metafora.
I soggetti di Italo Turri, ripresi dalla vita quotidiana, osservati senza riserve mentali, sono semplici scene di vita di paese, paesaggi, nature morte, personaggi senza espressione che sembrano parlarsi ma non comunicano, città fitte di case senza finestre, riprese di interni domestici, animali, geometrie. In ogni opera si riscontrano pochi colori utilizzati e sempre in accostamento tonale, i rossi, i verdi, i blu, il nero, i grigi, rari tocchi di bianco, il marrone, il beige. La ristretta gamma di colori è forse condizionata dal reperimento spesso occasionale delle tinte utilizzate per dipingere o anche dalla necessità di essenzializzare il linguaggio cromatico, per rendere più efficace la comunicazione degli stati d’animo da trasmettere. La ricostruzione dello spazio, luogo dell’azione dei personaggi, è a volte sacrificata alla resa bidimensionale dei soggetti oppure è raggiunta mediante gli effetti di profondità prospettica ottenuti con la sapiente giustapposizione di gradienti cromatici, con pennellate costruttive decise e materiche, che si scontrano, o con l’uso di impellicciature di compensato, disposte sul supporto in modo da generare ordinate suggestioni di piani e volumi. Il supporto è quasi sempre cartone o cartoncino, materiale di scarto, raccolto con cura tra gli avanzi della opulenta società del benessere economico.
Spesso nelle opere di Italo Turri-Monzon lo spazio è assente o alterato prospetticamente, probabilmente a significare una realtà ritenuta fissa, immutabile, colta nella sua tragica e dolorosa portata universale. Tuttavia sempre si coglie nella pittura di Monzon una felice e certamente intenzionale partitura geometrica della struttura compositiva, sovente suggerita anche dalle pieghe dei cartoni utilizzati a supporto della sua pittura.
Gli stessi cartoni riciclati divengono valido mezzo espressivo nelle mani di Monzon: grazie alla loro movimentata texture, lasciata visibile dalle pennellate trasparenti, essi ci parlano sommessamente della luce che sfiora le superfici, dà sostanza alle forme, vitalità alla realtà. Come aveva intuito Picasso, anche nell’opera di Monzon l’inserimento di frammenti di cartone, impellicciatura, stracci conferisce valore di concretezza reale al dipinto, che non è più una semplice riproduzione del fenomeno, ma è ricostruzione ed epifania della realtà, che l’artista avverte per via di sentimento e comunica quale sua personale visione del mondo.
L’Artista non data i suoi dipinti: ciò che raffigura è la realtà quotidiana, è la storia dell’uomo Italo Turri nel suo quotidiano rapporto con la realtà, fuori da schemi che, incasellando rigidamente l’esistenza, rendono l’uomo prigioniero del passato e delle sue convenzioni oppure schiavo dell’ansia scaturita dalla paura del futuro. Italo Turri-Monzon nella sua disarmante semplicità inconsciamente ricalca il pensiero crociano secondo cui “la storia è il presente”, è l’intervento che l’uomo riesce a compiere con le sue scelte e comportamenti nell’esperienza del vivere, che si attua solo e sempre nel momento presente dell’esistenza di ciascuna persona.
Ciò che colpisce dell’opera di Italo Turri è l’Uomo con le sue sofferenze e desideri profondi, il suo desiderio di libertà che coincide con l’aspirazione alla bellezza, il riflesso di un animo bambino, innocente, ferito dal rifiuto, ma privo di risentimento verso chi lo umilia, allontanandolo. In questo paradossalmente l’Uomo-Turri diviene vincente, poiché la sua arte è un nobile richiamo all’uomo del terzo millennio a rispettare i valori fondanti della dignità dell’uomo, profondamente intuiti dalla civiltà greco-latina e faticosamente conquistati nella nostra civiltà durante i due millenni trascorsi dell’era cristiana.

(Maria Teresa Valeri)



 

PER ITALO TURRI, NELLA PITTURA D'OGGI
(di Giuseppe Selvaggi)



Roma dai tanti cuori, ognuno con energia propria, ad un pittore che sta nascendo dopo la morte – Italo Turri chiamato anche, per sua scelta misteriosa come i suoi quadri, Monzon -, offre l’occasione per una circolazione diffusa e vincente, fuori della sua Anagni. Questo cuore di Roma è la Provincia, con il suo Palazzo su Piazza Venezia, che sta divenendo una centralità d’arte che agli artisti dona linfa di vitalità per cui restano vivi. Certo, quando l’artista ne ha la sostanza. E’ il caso di Monzon. Italo Turri diventerà un artista che chiede, ed avrà, una sua consistenza nella storia dell’arte Italiana di fattura popolar-aristocratica. Adesso è un artista di culto: con la delicatezza della religiosità e con la convinzione critica. La nostra storia dell’arte contemporanea ha bisogno di presenze come questa di Monzon per affermare che lo scontro tra le informalità e la figurazione tradizionale continua ad avere soluzioni di incontro come questo che realizza Italo Turri. E’ discorso da avviare, meditando su questa mostra di un artista che ha dipinto solo nell’interesse di rappresentare il mondo con la pittura. Senza la vanità del successo. La storia per menti inventive come Monzon, è mistero della realtà, risolto – come nei quadri più sibillini di Turri – ponendo a chi guarda, domande, ed aprendo finestre per capire chi siamo. Mistero dell’arte. Grazie, Monzon.




 

ITALO TURRI MONZON
Mostra Antologica Villa Comunale di Frosinone
30 Aprile - 16 Maggio 2010


Credo si sia equivocato a lungo sulla figura artistica di italo Turri lasciando il primato della riflessione ad un racconto fatto di disagio, di rapporti inconciliabile, di vita on the road, di periferica partecipazione all’incedere comune.
In verità Italo Turri va considerato un artista “a tutto tondo”, proprio per quella unità narrativa, per quel tragitto-finanche doloroso-che lo ha portato a concretizzare un codice espressivo che è linguaggio autonomo, personale, immaginifico.
Nella sua figura di uomo e artista vanno pertanto inseguite queste attribuzioni, questi caratteri sviluppatesi “sotto pelle”, nel silenzio del vuoto, nelle banlieu della memoria, nei bilanci precari delle cronache di ogni giorno.
Nel breve brano di presentazione alla mostra, rubando una felice intuizione dello storico Luigi Tallarico, ho attribuito a Italo Turri un ruolo e una condizione tipici di taluni autori, quella di “artista-sismografo”.
E qui vorrei ribadirla rimarcandone il carattere.
A lui penso come ad un artista capace-per fatalità, per storia personale, per accadimenti talvolta indecifrabili-di percepire, di presagire quasi, il senso ineluttabile, del viaggio comune; di intenderne la sostanza, di intuirne in anticipo il dubbio o la struggente metamorfosi che arrecano le ore.
Tutto ciò rivolgendo lo sguardo allo scorrere del tempo, ai suoi protagonisti indaffarati, al rigore assoluto della forma e del segno,.
Italo Turri annota, registra, e il commento è una immagine diretta, struggente talvolta, intima.
Come se il presagio investisse quelle stazioni minute che albergano oltre ogni evidente riscontro.
Dell’uomo misura il ripensamento, la vaghezza, l’arrogante felicità, ne raccoglie il grigiore o l’indifferenza millenaria, l’intolleranza, il mutismo invalidante di ogni plausibile solidarietà.
L’uomo al centro della sua pittura.
Finanche nei paesaggi sgombri di naturali orpelli, negli occhi miserabili di un cane di guerra, nel vocio bambinesco di cortili offerti al vento, nei cieli percorsi da nuvole che sanno di zinco e carbone.
La strada poi.
Non luogo di occasionali ascolti o di distratti pedinamenti bensì quale “universo su scala” in cui ripristinare le regole intime dell’osservazione. E restituire a questo straordinario spaccato la legittimità universale della vita. Il sismografo Turri ne ha captato, per anni, i segnali, quelli provenienti dal sottosuolo assai spesso ignorato, quello che molti, probabilmente, non hanno mai condiviso.
E la scrittura-ovvero la pittura non poteva affrancarsi da questo confronto. Da qui cromatismi feroci, intransigenti, privi di sfumature rassicuranti di tonalità affabulatorie.
Come per il segno, oltremodo, senza mescolanza dì ombre e di chiarori.
Netto, tagliente, orfano di qualsivoglia ripensamento, inderogabile.
Questo mi è parso di leggere o forse questo è il suggerimento di una memoria comunque presente. Quella di Turri appunto.

30 Aprile 2010 (Rocco Zani)

 

ITALO TURRI: UN’ANIMA IMPRESSA SUL CARTONE
(di Nello Proia)


Un atteggiamento tra l’emarginazione e l’anticonformismo, uno spirito tra il “clochard” e il contestatore, un carattere tra il misantropo e il disincantato: ecco i connotati che, a prima vista, emergono scorrendo dapprima la vita venturosa e poi l’arte graffitica di Italo Turri, popolarmente chiamato anche “Monzon” per un’evidente reale analogia con il campione argentino che, come lui, fu un “combattente della vita”.
Addentrandoci, però, gradatamente nei meandri della sua personalità e della sua creatività ci si avvede di trovarci sempre più al cospetto di un uomo che – pur nella sua esistenza sofferta e controversa - ha lasciato, morendo prematuramente e quasi in silenzio un segno indelebile di alta umanità e di non comune talento artistico.
Grazie al riconoscente affetto della figlia Anna e del genero Magno, in virtù della stupefatta e sincera ammirazione di tutti quei concittadini che ebbero l’opportunità (oggi rara) di venire in possesso dei suoi “cartoni” e soprattutto per merito di esperti “talent-scout” dell’Arte Figurativa (e tra questi anche Vittorio Sgarbi) che ne intuirono, scoprirono e divulgavano le doti, Italo Turri è divenuto uno dei più improvvisi sorprendenti e clamorosi casi artistici di questi ultimi anni, assurgendo addirittura a protagonista e simbolo di una certa cultura - locale in particolare, esterna in generale - che da tempo non eccelleva più per prolificità, eclatanza ed originalità.
Tra coloro che hanno “riesumato” il Monzon pittore ad avvenuta scomparsa del Monzon uomo, il primo posto in assoluto spetta a Giuseppe Selvaggi, notevole figura di giornalista e critico oltre che poeta.Nel 1997 , su iniziativa dei familiari del Turri e con il patrocinio dei comuni di Anagni, Alatri , Fiuggi, Frosinone e della Provincia frusinate, Selvaggi ha pubblicato – presso l’editore Palombi di Roma – il volume “Monzon: vita e pittura di Italo Turri”.E’ stata la svolta per rivelare, ad anagnini e forestieri, l’altro vero volto di un uomo che tutti conobbero e considerarono solo come un “vinto” ed un “appartato”, alla stregua di quei personaggi intrisi di realismo decadente cari alla penna di Gogol, Dostojeweskij, Gorkj, Hugo, ma bene adatti anche al mondo avventuroso e “bestialesco” di London e Stevenson.
Selvaggi, con l’acume del critico nato, risale l’intero ecxursus esistenziale e creativo di Italo Turri, avvalendosi anche della sobria biografia esposta da Daniela Pesoli la quale – assai felicemente - descrive la parabola umana ed artistica del Turri come una tipica vita “on the road”.
Il critico paragona lo spirito e il comportamento di “Monzon” a quello del Santo d’Assisi, accomunando i due nella loro “fame” di vita: Francesco cercava con brama, ovunque, un pezzo di pane con cui sfamarsi; “Monzon”, “affamato di pittura”, svuotava cassettoni e bidoni di immondizie per ricavarne i cartoni su cui trasferire, in immagini e sensazioni, le effervescenze della sua anima.
Questi miseri cartoni diventavano opere compiute che costituivano una specie di sfida (la “sfida dei cartoni”) ed una sorta di reazione verso la società, il vivere comune, le istituzioni e i formalismi, dai quali egli, uomo e pittore “sui generis”, si sentiva distaccato ed estraniato.
Poi Selvaggi accosta Turri, pur nella sua genuina primitività creativa, a due “monumenti” dell’arte contemporanea: a Georges Rouault, grande maestro espressionista (e nel celebre “Cristo in croce”, squisita acqua-tinta su carta, ritengo ci sia molto dell’ ”humus”riproposto da Turri) e ad Alberto Burri, autentico predecessore di “Monzon”, che dal nulla di materiale usato recuperato riesce a far risorgere autentici capolavori di creatività e di espressione.
Selvaggi sostiene che Turri, “in regola contro le regole…vive ed opera con il coraggio dei santi e dell’arte” ed accosta i “segnucci” del pittore anagnino (allegorie di animali, di eventi, di donne, di luoghi) ai versi che aprono l’ “Ode all’Usignolo” di John Keats esaltanti l’euforia derivata dal bere che è un efficace stimolo alla creatività (che Monzon esprime con un netto e crudo “mo ci vò lu beve”): “Mi duole il cuore e i sensi un sonnolente/stupore tien quasi avessi alla mia sete/ cicuta offerto o un torbido nepente”.
Io oso accostare la pittura di Italo Turri,- spesso surreale, talvolta onirica, permeata da influssi naif e dada ma sempre fortemente realistica -, anche all’emotività di Munch, ai “capricci” di Goya, alle “caricature” di Daumier, alle “visioni” di Grotz ed alle “allucinazioni” di Jeronimus Bosch, in cui la commedia o la tragedia del vivere umano sono drammaticamente riproposte nelle soffuse fattispecie della satira dell’ironia e del grottesco.
Italo Turri è nato in febbraio. Tra i nati in questo mese pingue di genii e di menti straordinarie rientrano anche François Rabelais, Charles Dickens, Jules Verne, e James Joyce che, al pari di “Monzon”, hanno descritto e esaltato-tra il paradossale e l’umoristico, tra il tragico e il patetico, tra il reale e il misterioso-le vicende dei poveri, dei perseguitati, dei derelitti, degli umiliati, degli offesila di fuori della società apparentemente ricca ed opulenta ma da vizi e mali insiti. Questo mese, inoltre, fu chiamato dagli antichi Greci”Ametisthos”, cioè ametista: e che questo colore violaceo-scuro, soffuso di rauche ombre e di cupe tonalità, è la tinta che prevale sulle creazioni “su cartone”di Italo Turri.
Su miseri, consunti, deteriorati ed abbandonati pezzi di cartone Italo Turri è riuscito a ricostruire un intero mondo di sensazioni, di sentimenti, di stati d’animo, forse anche di sogni e di speranze. Questo mondo, oggi, è più vivo che mai. E con esso risalta sempre più cristallino il talento di Italo Turri detto “Monzon”, un genio dell’ “Arte Povera”, diventato ricco per stima e rispettato per elogi solo dopo la sua morte.

 

ITALO TURRI
(di Maria Teresa Valeri)


L’opera d’arte è comunicazione, trasmissione della riflessione sul mondo che l’artista elabora in modo originale e creativo. Le sue capacità interpretative, affinate con lo studio e l’esperienza del fare, gli consentono di giungere alla sintesi, che più si avvicina alla intuizione della Bellezza, aspirazione profonda e comune dell’intera umanità. L’Arte, come ricorda De Chirico, è comunque metafisica: non è mai una mera copia della realtà, ma è sempre la libera interpretazione dell’Artista. Ogni Artista per comunicare la sua visione del mondo sceglie il linguaggio più consono alle sue capacità espressive e più adatto ai contenuti da trasmettere. La forma ampiamente approssimativa, il colore alterato, la mancanza di proporzioni, la radicale sovversione dello spazio empirico riescono a tradurre efficacemente il mondo del sentimento, la gioia e l’infelicità, la serenità e la paura, il disagio e la speranza mediante l’efficacia dinamica del gesto, la valenza materica e linguistica del colore o dei materiali utilizzati. La scelta di un linguaggio deformante, che si allontana dalla ripresa mimetica della realtà fenomenica, è significativa di una precisa volontà, tipica degli artisti del XX secolo, di rappresentare in toni drammatici ed incisivi il mondo interiore dell’uomo, cioè quella realtà della coscienza travagliata, che è pur vera, ma inconoscibile in pienezza con il solo ricorso ai sensi fisici. Italo Turri “Monzon”, come molti protagonisti dell’arte del XX secolo, adotta lo stile espressionista e a volte informale nelle sue opere, che si rivelano autentici brani di poesia, potente strumento di comunicazione e stimolo alla riscoperta del valore della dignità dell’uomo. I soggetti di Italo Turri sono semplici scene di vita di paese, paesaggi, nature morte, personaggi senza espressione, città fitte di case senza finestre, riprese di interni domestici, animali, geometrie. In ogni opera si riscontrano pochi colori utilizzati e sempre in accostamento tonale. La costruzione spaziale è spesso sacrificata alla resa bidimensionale dei soggetti oppure è raggiunta mediante gradienti cromatici o con l’uso di impellicciature di compensato, disposte sul supporto in modo da generare ordinate suggestioni di piani e volumi. Il supporto è quasi sempre cartone o cartoncino, materiale di scarto, raccolto con cura tra gli avanzi della opulenta società del benessere economico. Con la sua vita ai margini l’Artista anagnino ha rifiutato il dialogo convenzionale della parola abusata nella convivenza comune per scegliere il suo linguaggio, quello universale della pittura che non può essere equivocato e che rimane nel tempo sempre autentico, vero e liberante. Significativo è il nomignolo che la gente del suo paese gli vestì addosso: “Monzon”, come il famoso pugile. Italo Turri accettò il soprannome, che utilizzò nel firmare le sue opere: egli dimostrò, così, di voler combattere pacificamente con i “suoi pugni”, cioè con le sue mani di artista, dimostrando come le mani dell’uomo riescano a produrre bellezza, manipolando la materia apparentemente priva di valore, rinnovando e dando vita alle cose morte, quelle scartate e ritenute inutilizzabili. I temi predominanti nelle opere di italo Turri Monzon sono: “il rapporto uomo-natura”, “bozzetti di vita sociale quotidiana”, “l’indagine interiore e la riflessione sulla vita”. Spesso nelle opere di Italo Turri-“Monzon” lo spazio è assente o alterato prospetticamente, probabilmente a significare una realtà ritenuta fissa, immutabile, colta nella sua serena e gioviale dimensione quotidiana, ma anche negli aspetti tragici e dolorosi di portata universale. Tuttavia sempre si coglie nella pittura di “Monzon” una felice e certamente intenzionale partitura geometrica della struttura compositiva, sovente suggerita anche dalle pieghe dei cartoni utilizzati a supporto della sua pittura. Gli stessi cartoni “riciclati” divengono valido mezzo espressivo nelle mani di “Monzon”: grazie alla loro movimentata texture, lasciata visibile dalle pennellate trasparenti, essi ci parlano sommessamente della luce che sfiora le superfici, dà sostanza alle forme, vitalità alla realtà. Nell’opera di “Monzon” l’inserimento di frammenti di realtà (cartone, impellicciatura, stracci) conferisce valore di concretezza reale al dipinto, che non è più una semplice riproduzione del fenomeno, ma è la ricostruzione e l’epifania della realtà profonda dell’esperienza umana, che l’artista avverte per via di sentimento e comunica quale sua personale visione del mondo. I dipinti di Italo Turri ci pongono direttamente in contatto con l’artista, ma soprattutto con l’uomo, che emerge a tutto tondo con la sua profonda aspirazione alla semplicità, alla verità dei rapporti umani, al rispetto della dignità della persona, al canto delle piccole cose che fanno bella la vita. L’Artista anagnino non ha datato i suoi dipinti: ciò che raffigura è la realtà quotidiana, è la storia dell’uomo Italo Turri nel suo quotidiano rapporto con la realtà. La coerente cifra stilistica evidenziata dall’uso continuato dei medesimi segni e mezzi espressivi, se non permette di seguire un itinerario spirituale in evoluzione, assicura, tuttavia, il riconoscimento della lucidità del pittore “Monzon”, sempre attento a comunicare con chiarezza e decisione il suo essere uomo e il suo messaggio di pace.
 

ITALO TURRI "MONZON": L’EMOZIONE TRASMESSA
(di Rocco Zani)


I numerosi commenti critici elaborati sulla figura di Italo Turri tendono, fatalmente, a rimarcare - in maniera più o meno celata - una sorta di combattuto dualismo tra la privatezza della dimensione umana e la preponderanza della sua immagine artistica.
Che Italo Turri sia stato, nella sua tormentata esistenza, una personalità “anomala e contraddittoria”, è fuor di dubbio. Soprattutto se intendiamo attribuire a tale assersione un giudizio confinato tra le cosiddette “valenzie ordinarie”. D’altra parte, quella forma di “egocentrismo onirico” che ne ha accompagnato – e segnato – la vita, sembra alimentare, ancora oggi, nell’interlecutore abituale, un’attenzione colma di velate passioni. “L’anormalita” – intesa quale rappresentazione antitetica di modelli comportamentali regolamentati da un “sentire” comune appare pertanto, non già luogo dell’estraniamento, bensì forma – indiretta, ma accattivante – di partecipazione.
Ma la conoscenza di un artista – di Turri in particolare – pare inconciliabile con gli esili citazionismi tratti da letture déjà vu, ovvero, appare riduttivo e precario il tentativo di concentrare la ricerca su un piano di “urgenza folcloristica “ anziché di analisi peculiare del fenomeno. Occorre pertanto stabilire un opportuno parametro valutativo affinché la “contaminazione” reciproca delle –quella umana e quella artistica – trovi un ruolo di innegabile ed equilibrata sommatoria che restituisca a noi uno scenario di rigorosa interpretazione .
Ecco allora che il prologo di questa sequenza conoscitiva deve necessariamente collocarsi in quella “capacità di emozioni che l’opera di un artista riesce a trasmettere nonostante tempi e generazioni nuove” (Giuseppe Selvaggi). Un elemento, “l’emozione trasmessa”, che pare farsi sostanza ineludibile di un indagare più complesso e dilatato. Esso è epicentro di accensioni umorali e al contempo memoria intransigente. Una memoria millenaria o attuale che Turri traduce progressivamente in archetipi della ricordanza rifiutando – o ignorando forse – qualsiasi orpello esplicativo, come se la nutidà dell’opera favorisse – invece – più intime e personali ouvertures. E’ la memoria del quotidiano, quella del degrado o delle prospettive incaute che tagliano il cielo in distorte finestre di luci e ombre. Quella dei volti ignoti che “mozzano” il sogno e rifondono l’uomo – l’artista – di brandelli di dialogo. Ovvero la memoria remota, colma di provocatorie tonalità, di non sapute dimenticanze, di raffiorati dubbi. E paure.
L’uso “libertario” – in secondo luogo – di materiali inediti, rafforza e sottolinea quel desiderio neutrale della narrazione, restituendo all’immagine dipinta – scavata, graffiata, scoperta – l’oggettività dell’incarnazione. La campitura – sia essa tela o cartone o pietra o legno – è una sorta di “dilatato sostegno dell’idea”. O idea anch’essa.
Ecco perché Turri non è un “caso” di demopsicologia o di alienazione. E’ più semplicemente – e pertanto in maniera più complessa – un pittore:
Scrive Sabina Spada di Annette Messager : “l’utilizzo di diversi materiali, anche di scarto, provoca lo svuotamento del significato delle categorie di arte alta e arte bassa, portando aspetti della vita quotidiana all’interno della dimensione artistica”
 

ITALO TURRI "MONZON": SULLE ALI DELLA MEMORIA
(di Nello Proia)


Un atteggiamento tra l’emarginazione e l’anticonformismo, uno spirito tra il “clochard” e il contestatore, un carattere tra il misantropo e il disincantato: ecco i connotati che emergono a prima vista scorrendo, con la memoria, dapprima la vita venturosa e “bohèmien” e poi l’arte graffitici ed istintiva di ITALO TURRI.
Guardando e analiezando oggi, con un accomodante “senno del poi” e con una sommaria conoscenza “a posteriori” dell’uomo, alcuni critici e biografi hanno accostato la creatività “naif” e primitiva di ITALO TURRI a taluni epigoni dell’Arte Figurativa: l’espressionismo di Roualt, la “materialità” di Alberto Burri, addirittura il “grottesco” del Goya, il “caricaturismo” di Daumier, le “allucinazioni” di grotz, fino alle “visioni” di Bosch ed alle esasperazioni di Munch.
Per me, che l’ho conosciuto fin da quando, bambino, mi imbattevo in lui per le vie di Anagni e restavo incuriosito dal suo portamento tra il burbero e lo sprezzantema dalla figura intensamente umana, ITALO TURRI resta una figura-chiave, se non simbolica, dell’Anagni popolana, schietta e genuina del tempo che fu e che mai più tornerà. Se mai, a farla rivivere, sarà proprio quello che ci ha lasciato ITALO TURRI con la sua pittura tanto semplice ed estemporanea quanto sofferta e significativa.
Sui miseri, laceri, consunti cartoni, ITALO TURRI è riuscito a ricostruire un intero piccolo mondo di sensazioni, di sentimenti, di stati d’animo, forse anche di sogni non realizzati e di speranze perdute. Questo mondo, oggi, è più vivo che mai. Questo è stato ITALO TURRI, semplice come uomo, unico come artista, al quale tutti hanno voluto proporre forzosi accostamenti.
Hanno definito ITALO TURRI “Monzon”, forse per il suo strenuo e tormentoso “combattere” contro la vita e contro gli uomini che non gli furono troppo amici. Io lo definisco “ Don Chisciotte”, alla stregua del fantasioso e trasognato cavaliere che, da solo, voleva combattere contro tutti e sfidare il mondo. Ma invece che contro i fatidici mulini a vento, ITALO TURRI ha combattuto contro il disinteresse e la noncuranza delle persone. Le sue armi, anziché quelle del tipico cavaliere per metà medioevale e per metà “hidalgo”, sono stati i suoi dipinti, con i quali ha “fermato” momenti essenziali della sua vita ed affermato il valore del suo genio.


 

ITALO TURRI
IN PITTURA “MONZON”
Mostra antologica presso il Palazzo del Collegio “Martino Filetico” di Ferentino
(Presentazione a cura di Maria Teresa Valeri)


Oggi, al Palazzo Martino Filetico, si apre al pubblico la mostra di 30 opere di Italo Turri, straordinario pittore anagnino, che ha lasciato nei suoi dipinti e collage, realizzati con deciso segno espressionista, la semplice e vigorosa denuncia contro il male del secolo XX: l’emarginazione e il tragico disagio dell’uomo, schiacciato dalle leggi dell’egoismo e dell’ “apparire”, imposte dalla logica disumana della società consumistica e materialista.
Le opere di Italo Turri esposte nella mostra ferentinate ci pongono direttamente in contatto con l’artista, ma soprattutto con l’uomo, che emerge a tutto tondo con la sua profonda aspirazione alla semplicità, alla verità dei rapporti umani, al rispetto della dignità della persona, al canto delle piccole cose che fanno bella la vita.
I soggetti di Italo Turri, che firmava le sue opere con il soprannome “Monzon”, sono ripresi dalla vita quotidiana: semplici scene di vita di paese, paesaggi, nature morte, personaggi senza espressione che sembrano parlarsi ma non comunicano, città fitte di case senza finestre, riprese di interni domestici, animali, geometrie. In ogni opera si riscontrano pochi colori utilizzati e sempre in accostamento tonale, i rossi, i verdi, i blu, il nero, i grigi, rari tocchi di bianco, il marrone, il beige. La ristretta gamma di colori è forse condizionata dal reperimento spesso occasionale delle tinte utilizzate per dipingere o anche dalla necessità di essenzializzare il linguaggio cromatico, per rendere più efficace la comunicazione degli stati d’animo da trasmettere. La ricostruzione dello spazio, luogo dell’azione dei personaggi della realtà da Turri-“Monzon” indagata, è a volte sacrificata alla resa bidimensionale dei soggetti oppure è raggiunta mediante gli effetti di profondità prospettica ottenuti con la sapiente giustapposizione di gradienti cromatici, con pennellate costruttive decise e materiche, che si scontrano, o con l’uso di impellicciature di compensato, disposte sul supporto in modo da generare ordinate suggestioni di piani e volumi. Il supporto è quasi sempre cartone o cartoncino, materiale di scarto, raccolto con cura tra gli avanzi della opulenta società del benessere economico.
L’opera del Pittore anagnino non può passare inosservata. Sin dalla prima vista la pittura di Italo Turri-“Monzon” cattura l’attenzione del riguardante: si presenta inizialmente con la dolcezza sommessa di una nenia familiare e poi si impone come sinfonia di colore e suoni; ti giunge dritto al cuore con il suo linguaggio semplice e vero; ti parla nel profondo dell’anima quasi come creatura vivente; ti scuote la coscienza e commuove nell’intimo, tanto è intrisa di dolore e tenace attaccamento alla vita. Non è facile sottrarsi al dialogo che l’Autore intavola con l’osservatore: Italo Turri è vivo nelle sue opere e, testimone di sé, lascia il suo messaggio con il linguaggio arcano e universale dell’arte.
L’opera d’arte è ontologicamente comunicazione, trasmissione della riflessione sul mondo che l’artista elabora in modo originale e creativo, perché dotato naturalmente di capacità interpretative della realtà in cui vive. Tali innate capacità vengono affinate con lo studio e l’esperienza del fare, consentendo all’Artista di giungere alla sintesi, che più si avvicina alla intuizione della Bellezza, aspirazione profonda e comune dell’intera umanità. L’Arte, come ricorda De Chirico, è comunque metafisica, non è mai una mera copia della realtà, ma di essa è sempre la libera interpretazione dell’Artista. Ogni Artista per comunicare la sua visione del mondo sceglie il linguaggio più consono alle sue capacità espressive e più adatto ai contenuti da trasmettere. La forma ampiamente approssimativa, il colore alterato, la mancanza di proporzioni, la radicale sovversione dello spazio empirico riescono a tradurre efficacemente il mondo del sentimento, la gioia e l’infelicità, la serenità e la paura, il disagio e la speranza mediante l’efficacia dinamica del gesto, la valenza materica e linguistica del colore o dei materiali utilizzati. La scelta di un linguaggio deformante, che si allontana dalla ripresa mimetica della realtà fenomenica, è significativa di una precisa volontà, tipica degli artisti del XX secolo, di rappresentare in toni drammatici ed incisivi il mondo interiore dell’uomo, cioè quella realtà della coscienza travagliata, che è pur vera, ma inconoscibile in pienezza con il solo ricorso ai sensi fisici.
Italo Turri “Monzon”, come molti tra i grandi protagonisti dell’arte del XX secolo, adotta lo stile espressionista e a volte informale nelle sue opere, che si rivelano autentici brani di poesia, potente strumento di comunicazione e stimolo alla riscoperta del valore della dignità dell’uomo.
La formazione culturale ed artistica del Pittore anagnino è legata alle esperienze dell’infanzia e agli studi professionali dell’adolescenza: figlio di calzolaio, è abituato sin da piccolo ad osservare il lavoro artigianale del padre, quotidianamente intento a modellare pelle e cuoio, semplici materiali organici, per ottenere calzature utili per le necessità dell’uomo. Terminati gli studi primari, Italo Turri si iscrive alla scuola professionale della sua città, sezione di “Ebanisteria”, che termina nel 1940. La scuola professionale rinforza le attitudini artistiche di Turri e acuisce la sua attenzione ai materiali naturali, che, “manipolati” dall’artigiano-artista, raggiungono nuova forma e nuovo valore, acquistano significato estetico e comunicano bellezza. Diciassettenne, Italo Turri partecipa alla formazione partigiana “Anagni” come “partigiano di gregario” e, arruolatosi nell’esercito, si congeda il 22 novembre 1948. Trova lavoro nella sua città come netturbino e si sposa nel 1950. Due figlie nascono dal suo matrimonio, che finisce nel 1955 in seguito alla decisione fondamentale della vita dell’Artista: rinunciare al mondo per iniziare una nuova vita in opposizione alle regole; vivere “ai margini” del mondo per assicurarsi l’osservatorio privilegiato per la ricerca del senso recondito delle cose e per cogliere la verità, nascosta dal velo dell’apparenza. La sua spiccata sensibilità, già forse traumatizzata dalle esperienze tragiche della guerra, deve aver ricevuto una insanabile ferita dalla repentina trasformazione culturale degli anni successivi al dopoguerra, quando la società agricolo-pastorale del territorio, fondata sulla logica di una vita semplice legata ai bisogni primari della sussistenza, fondata sui valori riconosciuti nelle piccole cose della vita quotidiana quali la solidarietà e lo spirito di abnegazione, il lavoro e la sobrietà, cede improvvisamente il posto all’economia del “consumo”, catapultata nella provincia di Frosinone in seguito agli sviluppi della produzione industriale, che segnerà il boom economico degli anni ‘60 del XX secolo con il conseguente repentino sovvertimento dei tradizionali valori, mentalità, usi e sistemi di vita.
Qualche evento, noto solo all’Artista, gli determina il cedimento delle capacità di resistenza contro le difficoltà della vita sempre più schiaccianti: l’incomprensione, il disprezzo dell’altro, l’egoismo. La società appare a Turri un inferno per le sue convenzioni, che, mascherate di perbenismo, vìolano la dignità personale dell’uomo e soffocano la sua libertà. Italo Turri ha inconsciamente una visione hobbesiana della vita, in cui vale l’amara definizione homo homini lupus. Egli, sicuro di non avere altra scelta, abbandona la normale convivenza sociale e torna a vivere nella casa paterna, nido protettivo, rifugio dall’ipocrisia imperante che distrugge l’uomo, perché, negandogli il diritto di “parlare”, di essere sé stesso, gli sottrae il diritto di esistere.
Italo Turri sceglie lo “scandalo della debolezza”, la “povertà” totale, l’emarginazione da una società matrigna e disumana, che, rifiutando il “diverso”, gli impedisce il dialogo paritario, schietto e autentico. La sua vita diviene semplice, povera, ma proprio per il distacco dal peso delle cose ritenute indispensabili per raggiungere il successo e il potere, Italo Turri diviene “libero” e “ricco”, perché nel suo spirito egli può possedere ogni cosa, facendo ricorso alla sua fantasia, alla sua poesia, alla sua arte. L’Artista anagnino rifiuta il dialogo convenzionale della parola abusata nella convivenza comune per scegliere il suo linguaggio, quello universale della pittura, quello che non può essere equivocato e che rimane nel tempo sempre autentico, vero e liberante. Significativo è il nomignolo che la gente del suo paese gli veste addosso: “Monzon”, come il famoso pugile. Italo Turri accetta il soprannome, che utilizza nel firmare le sue opere: egli dimostra, così, di non rinunciare alla lotta e continua a combattere pacificamente con i “suoi pugni”, cioè con le sue mani di artista, dimostrando come le mani dell’uomo riescano a produrre bellezza, manipolando la materia apparentemente priva di valore, rinnovando e dando vita alle cose morte, quelle scartate e ritenute inutilizzabili.
Da tale concezione del mondo deriva la preferenza per il segno espressionista e la scelta delle tecniche utilizzate con analoghi scopi artistici dalla Pop Art americana e dall’Arte Povera, mediante il recupero dei materiali poveri, preferibilmente quelli di scarto. Infatti Italo Turri-“Monzon” usa come supporti alla sua pittura cartone, stoffe, manifesti pubblicitari, impellicciature di compensato, smalti e acrilici, che spesso recupera nelle zone di raccolta cittadina dell’immondizia. “Monzon” realizza in tal modo una vera operazione culturale, riconoscendo con la sua vita “ai margini” il grande valore oggettivo che ciascuna cosa, sia essa naturale o prodotta dall’uomo, porta in sé e affermando contemporaneamente l’infinito valore della dignità di ogni uomo, ricco o povero, potente o debole, autorevole o ingiustamente senza diritto di parola, di cui l’oggetto di scarto diviene nelle mani dell’Artista poetica metafora.
La mostra delle opere di Turri-“Monzon” è stata allestita dall’architetto Giacinto Porretti, che, coadiuvato dal solerte Magno Carroccia, genero dell’Artista, ha costruito un percorso visivo perfettamente funzionale alla piena conoscenza del Pittore, dei suoi modi espressivi e del suo mondo spirituale. I temi predominanti nelle opere esposte sono: “il rapporto uomo-natura”; “la società chiusa nei suoi preconcetti e ostile all’uomo”, “l’indagine interiore e la riflessione sulla vita”.
Il “rapporto uomo-natura” è celebrato nelle opere La contessina, Il gatto bianco, La ciammotta, Il cardo, Il cervo, Il pappagallo, Vegetazione acquatica, Natura morta con locuste, fiasco e case. In esse l’Artista rappresenta le figure degli animali, quali il lupo, il gatto, il pappagallo, le locuste, i pesci, che, proposti nel loro valore di creature complementari all’uomo, si qualificano come gli unici referenti credibili della spontaneità e verità, oltre le diffidenze preconcette avallate dall’egoismo della società contemporanea.
La “società chiusa nei suoi preconcetti e ostile all’uomo” è rappresentata particolarmente nei bozzetti di vita sociale quotidiana come Donne che confabulano, Nuche svanenti (Uomini che parlano senza dialogare), Le Aristocratiche, La Familiare, L’Aristocratica, La città non è di petra, Donne che vanno alla Messa. In queste opere le figure umane sono inserite entro riquadri geometrici che ne evidenziano i limiti di azione; anche se più figure si fronteggiano, esse appaiono statiche e prive di espressione. È singolare notare con quale efficacia iconica l’artista raffiguri la chiusura dell’uomo al suo simile mediante l’indicazione di soli bottoni neri, disposti in fila verticale su corpi conici, rigidi e privi di arti, dotati di volti grigi senza contorni e caratterizzati solo dalla chioma, da occhi, naso e bocca ottenuti con macchie di colore nero. Tali figure, da Turri-“Monzon” definite le Aristocratiche, sono rigide, incapaci di parlare e di comunicare, di entrare in relazione con l’altro, perché dalla loro interiorità nessuna luce traspare; esse sono rigorosamente “abbottonate”, prive di gambe per camminare insieme, prive di braccia per collaborare. Tuttavia un sentimento di tenerezza accompagna tali immagini: qualche pianta è riprodotta al loro fianco, simbolo, forse, della speranza che il profumo della Natura possa addolcire la durezza del cuore umano, schiavo dei pregiudizi.
L’ “indagine interiore e la riflessione sulla vita” è dominante nelle opere Paesaggio con carretto: il ritorno dal lavoro, Nudo di Anna, Cambio di guardia, Pensiero lontano, La Madonna, Anagni - Anna (Anna, la figlia, davanti al caminetto), Sognando l’Abruzzo, Senza titolo (“Visione d’Interno”), Case viaggianti, Geometria, ma permea anche le sue nature morte come tutta la sua produzione artistica.
Paesaggio con carretto: il ritorno dal lavoro esprime il rispetto sacrale che l’Artista nutre per il lavoro dei campi, che pone l’uomo a diretto contatto con i ritmi naturali e gli permette di vivere in sintonia con l’ordine cosmico. Anche se il contesto ambientale conserva i toni molto scuri di colore, allusivi alle insidie e alla fatica del vivere, luminose pennellate accendono di toni rosati il paesaggio, evidenziando le figure animali, l’uomo, le case, e riescono a dare come per incanto valore prospettico al paesaggio, suggerendo lo sfuggire in profondità dei piani. Tale percezione visiva di uno spazio articolato, in cui l’uomo assume una funzione compositiva rilevante, è prepotente soprattutto guardando a distanza il dipinto, che deve essere osservato, scoperto nelle sue parti costituenti, quasi a significare la necessità di osservare attentamente il reale, per imparare a conoscerne gli aspetti positivi, che sono nascosti dal “buio” della nostra disattenzione.
Pensiero lontano (96x64) rappresenta di spalle un uomo dal vestito grigio e dalla folta chioma nera, che in solitudine e in piedi sul molo osserva una grande nave scura, galleggiante sul mare, riprodotto con collage di impellicciatura di compensato lasciato nel suo colore originario. Della nave è rappresentata la prua e parte dell’albero maestro, che si stagliano su un cielo grigio; il resto della nave e la parte terminale dell’albero maestro fuoriescono dal limite del campo percettivo e coinvolgono l’osservatore nel completare la figura con la sua immaginazione, partecipando emotivamente all’evento raffigurato: il canto dell’uomo-artista, che vagheggia l’“Esodo”, la “Terra promessa”, il luogo della libertà, dove sarà saziata la sua fame di giustizia e la sua sete di felicità, desideri insopprimibili dell’animo umano. L’Artista Italo Turri, deluso dal mondo, crede la Terra promessa irraggiungibile se non attraverso l’arte: perciò affida il suo accorato canto, sottolineato dal tono grigio predominante nel dipinto, al topos del viaggio per mare, da sempre nella cultura umana metafora della vita dell’uomo alla ricerca della verità tra le insidie dell’esistenza.
La Madonna è un’opera di squisita raffinatezza estetica, segno di una concezione positiva della bellezza, che Turri-“Monzon” comunica con la semplicità e franchezza che gli sono peculiari. L’Artista recupera un manifesto pubblicitario dei prodotti di bellezza ipoallergenici Phas, proposti alle consumatrici come ottimali contro qualsiasi rischio di allergia. Il primo piano di un perfetto volto di giovane donna, campeggiante su sfondo nero quale testimonial del successo del prodotto, è finalizzato alla trasmissione di un persuasivo messaggio promozionale, che è rinforzato dal testo verbale del supporting-evidence, stampato sotto l’immagine. Turri-“Monzon” con larghe pennellate color crema copre il volto della giovane donna: lascia intravedere appena una porzione di fronte, dall’epidermide liscia e vellutata, le arcate sopracciliari con l’inizio delle cavità orbitali e parte del testo scritto sotto la foto. Non sembra frutto del semplice caso la soluzione adottata dall’Artista nel manipolare il manifesto pubblicitario. Intenzionalmente “Monzon” vela il volto della modella, proposto come ideale di bellezza esteriore, oggetto di consumo e di profitto dell’industria, per svelarne la vera bellezza, quella che ogni donna e ogni madre deve possedere e che né il tempo né la moda può offuscare: quella bellezza, che, custodita nell’interiorità, traspare luminosa dal pensiero e dai sentimenti della donna, raffigurati poeticamente dall’Artista nella fronte e negli occhi. Ad un modello di bellezza artefatta ed omologata, costruita su criteri persuasivi al largo consumo del prodotto reclamizzato, “Monzon” oppone il richiamo alla semplicità, alla scoperta dei valori nascosti nell’intimo della persona.
Senza titolo (“Visione d’Interno”) è un’opera singolare, che per la sua configurazione iconografica richiama alla memoria le vedute di interni fiamminghe, altrettanto cariche di significati e di richiami morali nascosti. Su un piccolo frammento di cartone di formato rettangolare le vernici nere dominano la superficie, che sul lato destro presenta due ampie strisce verticali bianche, facilmente riconoscibili come i vetri di una finestra. Mi piace cogliere nell’opera la sottile metafora di sé, che l’Artista propone all’osservatore con il suo linguaggio apparentemente contraddittorio. “Monzon” non dipinge l’interno squallido e buio di una casa, cui nemmeno la potente luce diurna riesce a donare chiarore. L’Artista dipinge dall’esterno la sua casa, che tutti credono di vedere scura e di poco valore, ma essa, come si vede dalla sua finestra, è illuminata all’interno da un’intensa luce. Per tale motivo mi pare suggestivo proporre il titolo “Visione d’Interno”, dove con la parola “Interno” possiamo indicare l’animo dell’Artista, percepibile solo in una “visione” con un atto di volontà e fiducia. Come nell’architettura ravennate il rivestimento esterno in mattoni celava il fulgore dei mosaici parietali interni, metafora dell’anima e dello spirito, così Turri-“Monzon” vuole invitare l’uomo distratto a riflettere sulla “luce” dell’interiorità, di cui anche un uomo umile e debole è detentore.
Case viaggianti (54,5x85) appare quasi un testamento spirituale: il formato rettangolare orizzontale e le linee-forza orizzontali e curve orientate da sinistra a destra favoriscono la percezione del movimento e la rappresentazione di un evento in fieri, facilmente leggibile dall’osservatore. Su un grande prato azzurro, solcato orizzontalmente da spesse pennellate bianche e nere, corre un treno, composto da sette vagoni, tutti senza pareti, con due o più passeggeri dalle teste nere seduti dentro ogni vagone. Sullo sfondo il paesaggio continua fino all’orizzonte alto, segnato dal profilo dei monti raffigurati con la stesso colore azzurro. É inevitabile il confronto con la familiare vallata del Sacco attraversata dalla ferrovia e caratterizzata dai freschi toni del verde della fitta vegetazione, che in lontananza e sui monti Lepini acquistano particolari sfumature azzurrine in particolari condizioni di luce diurna. Nel dipinto la striscia celeste del cielo, solcato da qualche pennellata bianca, è incupita dalla presenza incombente di tre grandi uccelli neri, raffigurati in posizione centrale, in volo sopra il treno. In alto a sinistra una pennellata circolare nera è appena percepibile, figura di una stella lontana, un sole nero che non illumina, né scalda. Il paesaggio semplificato e privo di dettagli pone in maggior risalto il treno, interpretato dall’Artista come “Case viaggianti”, cioè case con i loro abitanti in corsa verso una meta sconosciuta, inseguiti dalle insidie, di cui i grandi corvi, ripresa forse di quelli più famosi di van Gogh, sono presagio, e accompagnati costantemente dalla stella nera, interpretata da Italo Turri-“Monzon” come figura benefica di Beatrice/Morte. L’Artista non trascura la “sorella Morte”, che sempre in secondo piano e quasi nascosta accompagna l’uomo nella sua esperienza di vita terrena e che sola lo conduce alla liberazione, allo svelamento ultimo e totale della verità. Straordinari gli effetti luministici provocati dall’accostamento dei colori e dalla robustezza del tratto delle pennellate: oltre a suggerire effetti di profondità e di dinamismo, conferiscono al dipinto un potente effetto drammatico, rendendolo rappresentazione di un dramma, che senza soluzione di continuità è recitato sulla scena del mondo, emblema della condizione umana.
Spesso nelle opere di Italo Turri-“Monzon” lo spazio è assente o alterato prospetticamente, probabilmente a significare una realtà ritenuta fissa, immutabile, colta nella sua tragica e dolorosa portata universale. Tuttavia sempre si coglie nella pittura di “Monzon” una felice e certamente intenzionale partitura geometrica della struttura compositiva, sovente suggerita anche dalle pieghe dei cartoni utilizzati a supporto della sua pittura.
Gli stessi cartoni “riciclati” divengono valido mezzo espressivo nelle mani di “Monzon”: grazie alla loro movimentata texture, lasciata visibile dalle pennellate trasparenti, essi ci parlano sommessamente della luce che sfiora le superfici, dà sostanza alle forme, vitalità alla realtà. Come aveva intuito Picasso, anche nell’opera di “Monzon” l’inserimento di frammenti di realtà (cartone, impellicciatura, stracci) conferisce valore di concretezza reale al dipinto, che non è più una semplice riproduzione del fenomeno, ma è la ricostruzione e l’epifania della realtà profonda dell’esperienza umana, che l’artista avverte per via di sentimento e comunica quale sua personale visione del mondo.
Sintomatica la scelta dell’Artista anagnino di non datare i suoi dipinti: ciò che raffigura è la realtà quotidiana, è la storia dell’uomo Italo Turri nel suo quotidiano rapporto con la realtà, fuori da schemi che, incasellando rigidamente l’esistenza, rendono l’uomo prigioniero del passato e delle sue convenzioni oppure schiavo dell’ansia scaturita dalla paura del futuro. Italo Turri-“Monzon” nella sua disarmante semplicità inconsciamente ricalca il pensiero crociano secondo cui “la storia è il presente”, è l’intervento che l’uomo riesce a compiere con le sue scelte e comportamenti nell’esperienza concreta del vivere, che si attua solo e sempre nel momento presente dell’esistenza di ciascuna persona.
La coerente cifra stilistica evidente nelle opere del Pittore anagnino denota la problematica costante dell’Artista, sofferente comunque del disagio provocato dalla profonda delusione provata nei confronti della comunità umana. L’uso continuato dei medesimi segni e mezzi espressivi, se non permette di seguire un itinerario spirituale in evoluzione, assicura, tuttavia, il riconoscimento della lucidità del pittore “Monzon”, sempre attento a comunicare con chiarezza e decisione il suo essere uomo e il suo messaggio di pace.
Ciò che colpisce dell’opera di Italo Turri è, infatti, l’invito ad individuare nella sua pittura l’Uomo con le sue sofferenze e desideri profondi, il suo desiderio di libertà che coincide con l’aspirazione alla bellezza: tutta la produzione artistica di Turri-“Monzon” è il riflesso di un animo di bambino innocente ferito dal rifiuto, ma privo di risentimento verso chi lo umilia, allontanandolo. Italo Turri non ha abbastanza forze fisiche per lottare ed esprimere verbalmente il suo dissenso, preferisce la fuga dalla realtà angosciante, ma non sceglie il silenzio: “Monzon” si serve della pittura per continuare a proclamare con coerenza la sua identità.
In questo paradossalmente l’uomo Italo Turri diviene vincente, poiché la sua arte continua a parlarci di lui, ma anche di noi stessi: continua a denunciare quegli atteggiamenti che spesso adottiamo verso l’Altro quando ci rifiutiamo di incontrarlo nella sua “diversità”, di accoglierlo in nome dei valori universali dello spirito, di cui ogni persona è portatrice.
L’arte di Italo Turri-“Monzon” è un nobile richiamo all’uomo del terzo millennio a rispettare i valori fondanti della dignità dell’uomo, profondamente intuiti dalla civiltà greco- latina e faticosamente conquistati nella nostra civiltà durante i due millenni trascorsi dell’era cristiana.


 

DOPO CINQUE ANNI: ITALO TURRI
IL SUPERBO DOLCE PITTORE MONZON
(di Giuseppe Selvaggi)


Sono cinque anni dalla morte, e come artista resurrezione, Italo Turri, il superbo e dolce pittore a firma Monzon. Anche chi non lo ha conosciuto di persona, nella sua vita di penitente dell’arte, dai suoi quadri ricostruisce una coscienza di purezza e di sacrificio nel progetto di fare arte. In questo, il pittore che poteva sembrare- vedendolo trovare nei rifiuti il materiale per la sua angelicata salita verso la poesia visiva- un emarginato, è stato uomo di sicura cultura per ciò che di nuovo imponeva la ricerca del Novecento. Il tremendo e meraviglioso fulmine di Gesù: Beati gli ultimi perché di questi sarà più sicura e rapida l’entrata nei cieli del futuro, per Italo Turri significa: Beati gli ultimi nel mondo dell’arte perchè saranno questi nella prima linea nel domani della poesia. Italo Turri ripensandolo, mostra dopo mostra, in questi cinque anni, riesce ad essere, non apparire, sul traguardo degli artisti che possono rimanere vivi dopo la morte. Mentre migliaia, anche di firma famosa cadono nella resistenza al tempo: che in arte e nella poesia non ammette vittorie sterili.
Questa mostra di omaggio, in un luogo sacrale per la religiosità della cultura, nella città di Ferentino, segna un’altra tappa preziosa in avanti, nella conoscenza di questo artista, di improvviso nella prima linea. Ci vorrà ancora, un paziente lavoro di conoscenza sulle sue opere, nella sua autentica realtà, per stabilire le circostanze storiche e le ragioni accertabili, sempre attraverso la luminosa solitudine dei suoi quadri, per fare dell’ammirazione postuma, crescente, una affermazione critica. Per fare di Italo Turri un pittore di diritto presente nelle conclusioni inventive del nostro Novecento.
Il merito più consistente di Italo Turri è stato quello di avere fatto centro nella scoperta più audace del Novecento, riguardante il rapporto tra pittura e materia per la sua realizzazione, dopo l’avvento di nuove tecniche nelle arti visive. A cominciare dalla fotografia. Turri ha intuito e messo in pratica la verità secondo cui tutte le strade conducono alla poesia, purchè se ne abbia consapevolezza e carisma concretizzante. Le sue scelte povere del cartone abbandonato, persino sporcato, e dell’utilizzazione anche dei colori di rifiuto assume capacità di simbolo ammonitore. Monzon, così, è tra gli artisti di una avanguardia interiore e fattiva, ch’è la ricerca. La sua leggendaria povertà, volontaria, si alza a valore di affermazione anche di principio. L’arte è dono di sapienza, insieme dono dello spirito procreante. La sapienza di Monzon è consistita nel credere alla possibilità di far poesia anche con il “niente” del giorno dopo giorno vissuto nella fede, e della quasi “elemosina” - per i cartoni e i colori- dei mezzi per fare arte. Da qui la sua francescanità del suo esistere. Monzon poverello dell’arte, per questo vincente. Certo le sue scelte sarebbero crollate dinanzi alla impotenza come poeta tramite le immagini. Ma egli aveva soffio della invenzione creativa.
Questa mostra è utile alla urgente decisione di immettere Monzon nei canali della critica storcizzante dell’arte contemporanea, valorizzando, o non nascondendo, gli aspetti della sua volontaria povertà. -Questa, nella mostra di Ferentino, brilla come ricchezza.


 

Italo Turri “Monzon”: la metafora della vita
(di Caterina Zonno)


Italo Turri “Monzon”, affermato artista scomparso, è apprezzato e stimato in tutto il mondo. La sua pittura , definita da alcuni critici la “poesia del quotidiano” , rimanda alla bellezza ed alla dolcezza degli affetti familiari, al calore delle amicizie, a figure e personaggi, a volte resi con ironia espressiva, che immaginiamo di vedere camminare e soffermarsi nelle piazze dei paesi, in un tempo passato. La purezza del segno grafico e l'effetto cromatico conferiscono al tempo stesso realismo ed evanescenza, suscitando atmosfere di rara poesia. La genialità di Italo Turri sta nel rappresentare su tela e con magia, non solo le persone e gli oggetti, ma le emozioni e le suggestioni da essi evocati, con forte carica espressiva e comunicativa. Il pittore-poeta Italo Turri rimanda ad un immaginario d'infanzia, denso di sogni, fantasie ed illusioni e per questo, osservando le sue tele, sembra di conoscerlo da sempre.

 

ITALO TURRI "MONZON": LO SPAZIO ALTERATO
(di Francesco Giulio Farachi)


Italo Turri che si firmava “Monzon”. Italo Turri che si aggirava per le strade della sua città, Anagni, in una febbrile ricerca dei materiali, fisici ed ideali, per la sua pittura. Italo Turri che, a oltre dieci anni dalla morte, sempre più viene valutato e riconosciuto come uno dei “grandi” della pittura contemporanea. A questo “grande”, dunque, la Galleria Crispi dedica un’ampia personale, che si inaugurerà sabato 21 ottobre. Con il patrocinio di Regione Lazio, del Comune di Roma – I Municipio “Centro Storico”, della Provincia di Frosinone, del Comune di Frosinone, l’evento vuol essere un vero e proprio tributo all’opera di un artista che è stato rivoluzionario e coerente a se stesso, che ha vissuto l’Arte come assoluto scopo e modo di vita, che ha elaborato un linguaggio pittorico che dice insieme l’asprezza e la poesia dell’esistenza. Turri usava per dipingere materiali che erano avanzo e scarto di altre utilizzazioni, cartoni gettati, residui di impellicciature, smalti per l’edilizia e per le carrozzerie. Materiali, per la scelta dei quali il pittore si metteva in giro a frugare persino nei cassonetti dei rifiuti, e che in questa meticolosa cernita acquisivano un valore ed un significato nuovi di zecca: ciò che la società “normale” non vede che come rifiuto e scoria, anzi proprio perché è rifiuto e scoria, conserva l’essenza di libertà e fantasia, assorbe la realtà in maniera altra e alta, si arricchisce di un “aver già vissuto” che è sapienza di vita e anche muta e solitaria rivolta contro stereotipi e moralismi disumananti, diventa materiale per l’Arte. Nella materia rifiutata, Monzon traduce la propria scelta di volontaria emarginazione, di relegazione in una dimensione discosta dove è più facile capire, anche se rimane scontata la difficoltà ad esser capiti. La sua pittura, la pittura di Monzon, è fatta di gesto veloce, di tratti essenziali e minimi, di colori che nettamente definiscono forme, sfondi e soggetti, di atmosfere grevi di emozione, vibranti di violenta dolcezza. Descrive un mondo visto e sognato, di persone ed affetti, di luoghi e prigionie dell’anima, di animali e paure e istinti di libertà. È un mondo quotidiano, che dal quotidiano si distilla ed al quotidiano rapisce l’espressione, la forza, lo struggimento di intere esistenze e di piccoli, minuti momenti. È un mondo stralunato e poetico, tesoro prezioso scovato nella povertà e nella esclusione, fra i rimasugli di realtà gettati via e guardati con indifferenza. Come la sua vita, la vita di Turri pittore e null’altro che pittore. Italo Turri che si firmava "Monzon".
 

IL FASCINO DELL’IRREALE NEI DIPINTI DEL MAESTRO ITALO TURRI
(di Carla D'Aquino Mineo)


Il fascino dell’astratto pervade negli splendidi dipinti del maestro Italo Turri, dove l’elemento mobile e fantastico, nell’intensità emozionale del colore coniuga il reale con l’immaginario, la poesia con l’enigma, il senso con la ragione. Nasce così, una autentica narrazione figurativa di onirica bellezza, in cui il mondo visibile è ricreato fantasticamente con armonie inedite e finissime sensazioni nella varietà dei fermenti ispirativi, dove le morbide sfumature del colore nei trapassi di bianca luce, concretizza una trasognata realtà astratta, tra allusioni esistenziali e simbologie, percorrendo un viaggio ideale del pensiero nell’evocazione del filone Surreale, da Mirò a Chagalle per progredire nell’essenzialità di un’arte Kandinskiana, in cui emerge il ritmo lirico quasi musicale di libere forme geometriche che si evolvono in fluidità e trasparenze nel tessuto grafico e cromatico come riflesso speculare di vibrazioni d’animo dell’autore. Sorprende nei dipinti del maestro Italo Turri l’alta sintesi grafica e coloristica che giunge con immediata spontaneità all’effetto visivo nella simbologia di forme e colori che si evolvono in una nuova spazialità pregna di luce con lontananze liriche nella costante ricerca di ricreare fantasticamente la materia, veicolo di significati e valori della vita. Ecco che allora, nella pura creatività lo stesso supporto di base nei suoi autentici dipinti vive una simbolica metamorfosi, mentre appaiono inserti materici di cose semplici della quotidianità che alludono a simbologie esistenziali per vivere il mistero della vita in una dimensione ideale, in cui il tempo trascende lo spazio nella suggestione globale ed emotiva di forme, colori e luci in movimento. In tal modo, la rappresentazione pittorica diviene metafora di uno spazio, dove l’intervento dell’artista coincide con il suo diario di vita. Ecco perché, la libera e naturale gestualità nella fusione di morbide pennellate, tra i gialli solari, i toni terrosi, i verdi variegati della vegetazione, gli ocra sabbiosi e gli azzurri intensi nella dialettica del nero e nell’immediatezza del riflesso, rivela l’interiore emozionalità, svelando le forze del sogno e l’abbandono all’inconscio per inoltrarsi nella meravigliosa scenografia di una surreale realtà. Segni e colori, quindi, si fondono armonicamente e colorano l’animo di infinite sensazioni che scaturiscono dalla genialità dell’autore che interpreta la poetica dell’immaginario, attraverso un astrattismo simbolico-espressionista, mentre fluisce il pathos nel cromatismo che rivela la carica emozionale dell’autore. Oltre la stessa concettualizzazione dell’immagine, percorre la straordinaria narrazione di Italo Turri per manifestare l’odierna cultura avveniristica orientata sempre verso inedite forme espressive per un nuovo concetto d’arte. Sta qui il fascino nei dipinti del maestro Italo Turri: la decantazione della materia nella trasfigurazione simbolica, progredisce nell’alchimia coloristica in lievi trasparenze, creando mondi fantastici in magiche composizioni cromatiche nella libera gestualità del segno e del colore che si evolve in un riflesso pacato di sentimenti lirici, sublimando l’arte italiana con la testimonianza di un’autentica modalità stilistica, dove il linguaggio non è solo bellezza estetica, ma quello dello spirito.

 

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